Con É stata la mano di Dio Paolo Sorrentino si allontana dai barocchismi a cui ha abituato il pubblico negli ultimi anni per sperimentare un cinema più intimo nel quale ripercorre la sua adolescenza, momento che coincide anche con la più grande tragedia della sua vita. In questo coming-of-age semi autobiografico trovano un punto di sintesi perfetta diversi piani: sacro e profano, commedia e tragedia. Sullo sfondo della Napoli degli anni ’80, dove Maradona assume un aura mistica, Fabietto Schisa vive ancora intensamente l’ambiente famigliare – ricco di personaggi che tanto devono all’universo Felliniano, in particolare ad Amarcord – ma inizia ad affacciarsi alla vita adulta sperimentando il desiderio ma soprattutto la perdita con cui venire a patti risulta un’impresa quasi impossibile. “Non disunirti” gli suggerisce il regista e mentore Antonio Capuano, e il finale migliore è proprio uscire dalla sala con la consapevolezza che Sorrentino c’è riuscito, realizzando un film sincero che parla al cuore.
Silvia Alberti