Recensione di NON ESSERE CATTIVO

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Ostia, 1995. Amici da una vita, Cesare e Vittorio, costretti a fare i conti con la dura realtà.

Cresciuti in un quartiere degradato, tentano strenuamente di dare un senso alle loro giornate saltando da droghe sintetiche a piccoli crimini, ma il senso di noia e di inutilità sembra opprimerli. Lo notiamo nella birretta al bar prima della sniffata mattutina, nel silenzio assordante di quando si è di fronte al mare, nel tornare a casa alle prime luci dell’alba ancora con gli occhi spalancati dalla notte brava.
La vita è dura e se non sei duro come la vita non vai avanti”, dice Cesare, colui che fa più fatica ad allontanarsi da quella realtà perché “andarsene da tutta ’sta merda” è più facile a dirsi che a farsi.

Attorno a loro, storie di vita comune: a casa Cesare ha una madre precocemente invecchiata che accudisce la nipotina malata, la cui madre è morta di Aids. Vittorio invece sembra non avere nessuno al mondo, e quando incontra Linda vede in lei una possibilità di costruire una vita normale.
Così cerca lavoro in uno dei tanti cantieri che sembrano riempire Ostia, appaltati a operai di varie nazionalità sempre in nero, ma dove il lavoro oggi c’è e domani non si sa. Il tentativo di coinvolgere anche Cesare affinché si allontani definitivamente da quella routine che man a mano lo stava distruggendo risulterà vano; per lui il richiamo della strada avrà di nuovo la meglio sui buoni propositi.

A bucare lo schermo, oltre alla meravigliosa fotografia, è l’alchimia tra Marinelli e Borghi, in aggiunta alla grande prova di recitazione da parte di entrambi, estremamente veritieri nei loro personaggi senza mai cadere nel caricaturale.

Dopo Amore tossico (1983) e L’odore della notte (1998), Caligari ci lascia con il suo terzo lungometraggio Non essere cattivo, il quale sembra essere non solo un invito, ma anche una raccomandazione, una speranza. Lo stesso Marinelli ci dice “Non essere cattivo verso te e verso gli altri. Tendi al bene, al bello. L’unica salvezza. Questo è quello che significa per me.” Quasi un undicesimo comandamento.

Flavia de Meo

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