Dal titolo alla realtà.
Il film documentario di Patrick Farrelly e Kate O’Callaghan, ci restituisce la promessa mantenuta e onorata da Jaha Dukureh, una promessa fatta a sé stessa ancor prima che a tutte le ragazze e donne che, come lei, hanno dovuto subire una pratica e una consuetudine che segnano la vita di ogni donna costretta a patirle.
Ci troviamo di fronte a due temi molto delicati: la mutilazione genitale femminile e i matrimoni infantili forzati. Due pratiche che Jaha conosce molto bene perché le ha vissute su di sé: in Gambia, suo paese natale, quando era ancora bambina è stata sottoposta a mutilazione genitale e successivamente, a 15 anni fu portata dal padre a New York per sposarla ad uno sconosciuto di 45 anni, a cui era stata promessa dalla famiglia quando aveva 9 anni.
La determinazione di Jaha a non accettare passivamente le ingiustizie le consente dopo dieci anni di sottrarsi a quel matrimonio. Decide quindi di tornare in Gambia per condurre sul campo la propria lotta, avviando e guidando una campagna contro le pratiche che le hanno segnato la vita. Una lotta contro l’atrocità e l’insensatezza di una pratica accettata per inerzia tradizionale e per ignoranza da parte della stessa popolazione.
Le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno vasto e complesso, che include pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni.
Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Le MGF (Mutilazioni Genitali Femminili) vengono praticate per una serie di motivazioni, da ragioni igieniche ed estetiche – in alcune culture i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e osceni – o per ragioni sanitarie, si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino.
Le mutilazioni genitali femminili, in qualunque forma, sono una palese violazione dei diritti della donna, perché discriminatorie e perché violano il diritto delle bambine alla salute, alle pari opportunità, a essere tutelate da violenze, abusi, torture o trattamenti inumani. Oltre che umilianti, queste mutilazioni sono estremamente dolorose: le bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause che vanno dallo shock emorragico a quello neurogenico, provocato dal dolore e dal trauma.
Jaha si rende conto dunque che è necessario lavorare sul fronte della sensibilizzazione e della cultura, sulla consapevolezza e soprattutto sulle nuove generazioni per sradicare una tradizione tanto violenta e pericolosa. Nonostante le difficoltà, alcuni piccoli risultati già ci sono a partire dal riconoscimento delle ONU, ma anche nel suo stesso paese natale, il Gambia.
Il 28 dicembre 2015 il governo del Gambia proibisce per legge le MGF, con la reclusione fino a tre anni di chi se ne renda responsabile e/o un’ammenda di 1200 euro, pari a 4 volte il salario medio, ottimo deterrente in un paese la cui popolazione non gode certo di diffuso benessere economico. Il 6 luglio 2016 inoltre, il governo del Gambia vieta i matrimoni forzati con minori prevedendo il carcere per chi li contrae, ma siamo solo all’inizio di una possibile vittoria verso la quale la strada è ancora lunga.
Il film si rivela quindi, molto più che racconto, la raffigurazione di uno straordinario riscatto sia individuale che sociale, che pur senza eluderla, ma anzi riconoscendola e affrontandola, ha potuto superare la tensione di un conflitto personale, familiare e politico.
Flavia de Meo