Recensione di Fa’ la cosa giusta

Affresco corale che racconta uno spaccato di vita quotidiana in un isolato di Brooklyn che sembra un teatro di posa, al ritmo battente e aggressivo del leitmotiv hip hop Fight the Power dei Public Enemy (il cui video sarà diretto dallo stesso Spike Lee). Tra queste poche strade si intrecciano le esistenze di una manciata di personaggi: dal pizzaiolo italo-americano Sal (Danny Aiello) al suo garzone Mookie (Lee), dallo speaker radiofonico Mister Señor Love Daddy (Samuel L. Jackson) alla saggia e disillusa Mother Sister (Ruby Dee), per menzionarne solo alcuni.

I fatti raccontati da Spike Lee nell’arco di un’afosa giornata estiva derivano da eventi realmente accaduti: una rivolta ad Harlem verificatasi nel corso degli anni Ottanta culminata con l’uccisione di un uomo di colore da parte di otto poliziotti bianchi e, soprattutto, il cosiddetto Howard Beach Incident, ossia il pestaggio da parte di alcuni giovani bianchi ai danni di tre afro-americani, con l’ausilio di mazze da baseball e tirapugni, davanti a una pizzeria; uno di loro venne inseguito fino all’autostrada, dove morì investito da un’auto, scatenando la dura reazione della comunità afro-americana. Tuttavia, per credere a quanto vediamo sullo schermo non abbiamo bisogno di testimonianze risalenti alla cronaca statunitense dell’epoca: specialmente in questo nefasto 2020, infatti, i temi del razzismo sistemico americano, la subalternità della comunità afro-americana, la violenza perpetrata dalle forze dell’ordine nei confronti di quest’ultima – argomenti divenuti “caldi” dopo la barbarica uccisione di George Floyd che ha fatto emergere nelle settimane successive tante altre video-testimonianze) – sono tornati tristemente (e giustamente) al centro del pubblico dibattito.

Ed è (anche) per queste ragioni che Fa’ la cosa giusta è una visione quanto mai necessaria, anche volendo escludere gli evidenti meriti prettamente cinematografici.

Eppure, nonostante il film sia uno dei più “arrabbiati” di uno dei registi più politicamente schierati della Hollywood contemporanea, il messaggio di Spike Lee non è così unidirezionale come ci si potrebbe aspettare date le premesse di cronaca da cui il film trae linfa. Siamo ben lontani da una focalizzazione totale sul razzismo atavico e normalizzato dell’America WASP diretto verso la popolazione nera (come sarà invece in altri film successivi, tra cui il recente BlacKkKlansman), dai film-tesi sulla condizione eternamente subalterna della comunità nera (come è in un certo senso anche l’ultimo Da 5 Bloods, disponibile su Netflix, incentrato sull’esperienza in Vietnam dei soldati afro-americani, costretti a morire al fronte per una bandiera da cui non si sentono pienamente rappresentati e relegati ai margini nelle narrazioni sul conflitto). In Fa’ la cosa giusta tutti i personaggi non afro-americani appartengono comunque a etnie minoritarie, sono in una certa misura “stranieri” in un territorio ostile: questo vale per il fruttivendolo coreano, maltrattato dai suoi avventori, principalmente di colore; vale per la comunità di portoricani (tra cui Tina, la fidanzata di Mookie), ma anche per il pizzaiolo Sal e i suoi figli, che hanno lasciato il quartiere italiano per “esportare” la pizza in una zona di Brooklyn a predominanza nera.

Due sono gli episodi che rompono il sottilissimo equilibrio creatosi tra Sal e i suoi avventori: la pretesa che Radio Raheem abbassi la musica del suo stereo nel locale e, soprattutto, la brusca richiesta di Buggin Out di appendere alla parete fotografie di icone black al posto dei volti italo-americani, da Sinatra a Stallone: perché a detta di Buggin Out, se è vero che la pizzeria è di Sal, i clienti che la frequentano sono tutti afro-americani e dunque deve sottostare al gusto e alle regole dei clienti. Anche l’episodio dell’uccisione di Radio Raheem per mano di un poliziotto bianco, che rappresenta sicuramente l’apice della tensione drammatica del film, non è l’elemento chiave dell’operazione. La chiave di lettura di Fa’ la cosa giusta risiede piuttosto in altri momenti, tra cui possiamo citare la breve sequenza in cui alcuni personaggi sono ripresi singolarmente con una carrellata che si avvicina sino a un primo piano, e in cui ciascuno rivolge in macchina da presa insulti razzisti nei confronti di un altro personaggio (una modalità narrativa che diverrà un vero e proprio marchio di fabbrica di Lee). In questa breve sequenza appaiono Mookie, che è di colore, Pino, che è italo-americano, uno dei poliziotti bianchi, uno dei ragazzi portoricani e perfino il fruttivendolo coreano: ciascuno si fa portatore della propria abbondante dose di odio da riversare contro qualcun altro. L’odio e la violenza che impediscono il dialogo e la fratellanza tra le diverse comunità favorendo anzi il monologo urlato, la rabbia sociale. Un concetto che viene ricordato anche dalle parole di Martin Luther King che scorrono sullo schermo appena prima dei titoli di coda. L’odio contrapposto all’amore, che ritorna anche in un altro famoso monologo del film, ossia quello di Radio Raheem che mostra i pugni con gli anelli recanti le scritte “Love” e “Hate”, che citano testualmente i tatuaggi sulle dita di Robert Mitchum ne La morte corre sul fiume (C. Laughton, 1955). Inoltre, a conferma di quanto detto finora, i personaggi più “puri” e positivi del film (tra quelli centrali nell’economia del racconto) sono Il Sindaco, che compie due gesti eroici e replica sempre cordialmente anche verso coloro che lo irridono, e Mother Sister, che proprio nell’ultima parte rinuncia alla sua ruvidezza nei confronti di quest’ultimo.

Protagonista assoluta di questo drammatico e variopinto affresco è l’estate afosa di Brooklyn, che lascia il segno sul film con tutto il suo peso materico: i corpi madidi di sudore, la fotografia satura di Ernest Dickerson orientata sui toni caldi che richiamano i mattoni delle abitazioni, i ventilatori accesi nella penombra delle camere da letto, l’uso erotico dei cubetti di ghiaccio e tutti i richiami al caldo torrido che metaforicamente si connette anche ai bollori persistenti nei rapporti umani che culminano con la violenta rivolta notturna. «Dicono che farà ancora più caldo» dirà Sal nel finale, davanti alla sua pizzeria messa a soqquadro. Forse il miglior film di Spike Lee non sarebbe stato la stesso senza il personaggio interpretato da Danny Aiello, grande attore che ci ha lasciato lo scorso dicembre.

Federico Cristalli

Forming a Critical Sense of Race with Spike Lee's "Do the Right ...

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