Recensione di Cattiverie a Domicilio

All’uscita del film nelle sale italiane ero a Bologna, ed ebbi l’impressione che Cattiverie a domicilio avesse ricevuto un’accoglienza un po’ tiepida da parte del grande pubblico. Fortunatamente, la vasta affluenza al cinema all’aperto di Piacenza mi ha fatto in parte ricredere. La pellicola dimostra di possedere un’indole complessa e stratificata. L’arco narrativo viene eretto sulla base di una vicenda reale, raccontata con i toni vispi e irriverenti di un gruppo di borghesotte inglesi di provincia. Ciò non impedisce al film di accennare e talvolta approfondire temi politici più che mai attuali. Senza l’ipocrisia pietistica di un patetismo esagerato o la freddezza di una ricostruzione troppo schiettamente realistica, la sceneggiatura è una sinfonia di emozioni orchestrata all’inglese: con sobrietà. Perciò non c’è da aspettarsi risate a crepapelle o esagerati drammi tragici. La distanza di sicurezza tra Noi e Loro viene preservata: non rischiamo di farci male. E a volte è un po’ questo il peccato, il quid che manca. I personaggi che mostrano sfaccettature realmente interessanti sono pochi, ma sono quelli giusti. Olivia Colman restituisce un’interpretazione clamorosa della grazia ambigua del suo personaggio. Timothy Spall così convincente che se lo incontrassi domani, gli terrei il broncio. E questo mi sembra proprio uno di quei casi in cui adattamento e doppiaggio in italiano aggiungono al film un tocco finale, in fatto di espressività, degno di lode.

Davide Imbesi

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