Se gli occhi senza volto sono quelli sofferti e intensi della povera Christiane (interpretata da Edith
Scob, qui alla sua seconda apparizione sul grande schermo e scomparsa nei giorni in cui chi scrive
sta finendo questo articolo) che scrutano un mondo di orrore da dietro la maschera fatta per lei da
suo padre (Pierre Brasseur), il film si apre in realtà su altri occhi, quelli di Louise (dal volto
inconfondibile di Alida Valli), che guida solitaria nella notte parigina la sua Citroën mentre
trasporta a bordo il cadavere di una donna.
Occhi senza volto (titolo originale Les Yeux sans visage) è il secondo lungometraggio del regista
francese Georges Franju, risultato da una coproduzione Francia-Italia e uscito in sala nel 1960;
tratto dall’omonimo romanzo noir di Jean Redon, è una storia dalle tinte fantastiche e surreali sui
crimini di un chirurgo che, dopo aver provocato con la sua guida spericolata un incidente stradale
in cui sua figlia è rimasta orribilmente sfigurata, cerca di ridarle un volto attraverso ripetuti
tentativi di trapianto facciale, usufruendo dei lineamenti di ignare ragazze, rapite e sfregiate a tal
proposito. Il dottor Génessier incarna fedelmente la figura dello scienziato pazzo, perverso ed
eccentrico megalomane che sfida le leggi della vita e della morte in nome della propria ambizione
più che per amore della figlia Christiane, rinchiusa nella villetta di famiglia della periferia parigina
come le altre cavie degli esperimenti del padre: i cani dai latrati incessanti che accompagnano
ossessivamente tutto il film, fino al finale liberatorio ed evidentemente poetico simboleggiato dal
volo di alcune colombe bianche.
Il 1960 è l’anno in cui esce nelle sale anche Psyco di Alfred Hitchcock, con cui Occhi senza volto
condivide la sensazione di tragicità imminenti che aspettano di comparire ogni qual volta una
porta (anche metaforica) ci lascia intravedere uno spiraglio. Ulteriori elementi in comune, inoltre,
sono le ambientazioni chiuse e opprimenti (nel thriller di Hitchcock sono il motel e la casa di
Norman Bates, qui la villa fuori Parigi e la clinica del dottor Génessier) e la crudezza delle
immagini, insolita per l’epoca; le scene chirurgiche, in particolare, provocarono svenimenti in sala,
tanto che il film venne inizialmente bocciato dalla critica, ritenuto scandaloso ed estremamente
violento. Soltanto dagli anni 80 in poi, infatti, Occhi senza volto venne progressivamente
rivalutato, conquistando finalmente lo status di film caposaldo del genere horror. D’altra parte, è
notevole l’influenza esercitata dal film sul cinema posteriore: se il personaggio morboso del dottor
Orlof de Il diabolico dottor Satana (1962) di Jesús Franco ricalca quello del dottor Génessier, il
maestro dell’horror John Carpenter ha rivelato di essersi ispirato alla maschera di lattice bianca di
Christiane per quella del serial killer Michael Myers in Halloween (1978), mentre lo spagnolo Pedro
Almodóvar ha ammesso di conoscere a memoria la vecchia pellicola di Franju e di essersi servito di
essa come unico riferimento per La pelle che abito (2011); curiosamente, il film ha lasciato tracce
di sé anche nella musica, con il rocker inglese Billy Idol che ha scritto una canzone, Eyes without a
face, chiaramente ispirata dalla visione di Occhi senza volto.
Raniero Bergamaschi