David di Donatello 2020, edizione in streaming tra polemiche vecchie e nuove conferme

Prevista in origine il 3 aprile e rimandata a causa del lockdown dell’emergenza sanitaria, la 65esima cerimonia di premiazione cinematografica dei David di Donatello si svolgerà venerdì 8 maggio.

La cerimonia, condotta per la terza volta consecutiva da Carlo Conti, sarà trasmessa in prima serata su Rai 1 in una location ancora da svelare; essa si svolgerà obbligatoriamente a distanza attraverso collegamenti in streaming con i vari vincitori, candidati e protagonisti del cinema italiano.

Si rinnova Il sodalizio tra kermesse e rete pubblica, premiato in termini di share e ascolti tv (2.975.000 telespettatori con il 15% di share per l’edizione dello scorso anno); dopo la parentesi Sky del biennio 2016-2017 con la conduzione di Alessandro Cattelan.

A tre anni dalla fine di questa collaborazione, e approfittando del suo recentissimo ritorno in tv (E poi c’è Cattelan in onda su Sky uno) il conduttore di fronte a uno studio sprovvisto di pubblico ha lanciato un velato attacco alla manifestazione: “Parlare di fronte a nessuno in un contesto del genere è parecchio difficile. È comunque una platea migliore di quella dei David di Donatello, l’ho sperimentata sulla mia pelle”.

La pay tv tentò di rendere l’evento dei David più vicino agli Oscar con uno show blindato nella scrittura e un’impostazione più spettacolare rispetto alla versione generalista; il progetto ebbe buoni risultati di critica ma pessimi dal punto di vista auditel.

La battuta di Alessandro Cattelan è solo la punta dell’iceberg: sotto la superficie polemiche grandi e piccole accompagnano ormai da anni lo svolgersi della manifestazione.  È lecito interrogarsi sulla natura delle varie controversie, le quali si muovono sostanzialmente su due fronti:

– un fronte interno; dove registi(soprattutto) e addetti ai lavori si dividono a loro volta tra chi elogia i David, chi li tratta con snobismo oppure li critica.

Elio Germano per esempio racconta di definirsi pienamente un attore solo dopo la prima vittoria al David -premio ottenuto come miglior attore protagonista per Mio fratello è figlio unico (2007), La nostra vita(2011) e Il giovane favoloso(2015)– ma al contempo auspica che in futuro si possa allargare il più possibile la base di voto per il miglior film, come fosse Sanremo”. Renderlo in qualche modo popolare. Su fronte diametralmente opposto Gabriele Muccino; famosi i suoi commenti social al vetriolo verso la manifestazione, definita “una pagliacciata lobbistica der cinema italiano” e rea di averlo premiato nel 2015 con un David speciale (premio che viene assegnato senza regolarità per celebrare la carriera di un artista) e dunque fuori concorso.

Dalla categoria produttori, Pietro Valsecchi (amministratore delegato della Taodue Film) guarda al David come espressione di una “lobby obsoleta che non ha mai dato molto al cinema e ha perso il suo peso specifico”. “Sogno un premio solo per gli emergenti a cui una candidatura servirebbe davvero”.

Un fronte esterno; attraverso articoli di cronaca e vere e proprie inchieste (nel marzo 2018 l’Espresso titolò “Cinema, perché il David è da ripensare”) ci si interroga su meccanismi di voto, composizione della giuria ed annose questioni economiche.

Partiamo da queste ultime. Secondo alcuni giornalisti di settore la rottura dei rapporti tra l’Accademia del cinema italiano (fondazione che ogni anno assegna il premio David di Donatello) e Sky non sarebbe stata dovuta allo stile di conduzione di Cattelan –ritenuto fin troppo frizzante dagli habitués in sala- ma piuttosto ad alcune richieste avanzate da Sky Italia: variazioni al regolamento del premio, dal numero dei votanti alla quantità di premi consegnati (considerati entrambi eccessivi), e 150mila euro di rimborso dall’Accademia per l’organizzazione della serata finale.

Il David è un premio sostenuto dalla mano pubblica, grazie al supporto del MIBAC (Mistero per i beni culturali e dell’ambiente) MISE (Ministero per lo sviluppo economico) e Rai; risorse pubbliche di cui da più fronti viene auspicata una migliore allocazione. La manifestazione conta su uno stanziamento pubblico di 740mila euro; e a differenza di altri paesi l’Italia non è dotata di “un’Agenzia per la promozione delle industrie culturali” – che metta assieme MIBAC, MISE e Rai – e che attraverso una struttura organizzata e stabile sia in grado di promuovere maggiormente la cultura cinematografica dentro e fuori dai nostri confini.

I gusti del pubblico nell’ultimo decennio sono cambiati: se nel 2010 nella top ten degli incassi più alti, il film italiano con il risultato migliore si piazzava al quarto posto ed era un cinepanettone -“Natale a Beverly Hills” diretto da Neri Parenti- negli anni successivi abbiamo assistito al fenomeno commerciale del comico Checco Zalone (Cado dalle nubi, Sole a catinelle, Quo Vado), fino ad arrivare al 2019 con il cinema made in Italy che ha complessivamente incassato 134,8 milioni di euro per una quota totale del 21.22%. I film statunitensi invece, hanno portato il 65,1% degli incassi dei cinema italiani (il live action Il re leone è il film che qui da noi ha incassato di più con un totale di 37,5 milioni di euro.)

All’origine di questi risultati c’è sicuramente un bacino di utenti sempre più orientato verso il cinema dei Blockbuster e meno disposto a sperimentare vie alternative. Ma c’è anche un problema di educazione dell’industria (produzione, distribuzione, esercizio), tacciata di immobilismo.

La vera grande sfida del cinema nostrano è riuscire a vivere per tenere in piedi l’industria. Quanti film che partecipano al David restano poi di fatto invisibili?

Basti segnalare che l’opera premiata come miglior film 2018, il musical-kitsch “Ammore e malavita” dei Manetti Bross (il film ha vinto in totale ben 5 David), è stato sostanzialmente un flop nelle sale cinematografiche, con un incasso di poco più di 1,4 milioni di euro.

Si tratta peraltro di un premio “retrospettivo”: al festival vengono infatti premiati film che sono già usciti, e non film che hanno una première in occasione di un festival; questo per sottolineare la potenziale funzione propulsiva di tali premi. Ma concretamente che effetto reale determinano i David sul fronte della domanda?

I David vengono talvolta accusati di avere un effetto promozionale nullo e di candidare opere che hanno avuto un modesto esito nel “box office” in sala e che verosimilmente non guadagneranno share significativi nella (eventuale) messa in onda televisiva.

La questione però non è solo economica ma di natura più generale; non riguarda solo le risorse pubbliche o gli incassi al botteghino ma soprattutto una politica culturale da rivalutare.

Per quanto riguarda le critiche mosse ai meccanismi di voto e i dubbi sulla giuria a innescare il dibattito negli ultimi anni sono stati Ficarra e Picone, record di incassi con “L’ora Legale” nel 2017, che non parteciparono al concorso motivando la decisione con una critica diretta ai meccanismi di voto e all’attenzione –secondo loro sbilanciata-  dedicata ai film da parte della giuria. Cambiamenti importanti sarebbero stati apportati da lì a poco con la nomina – dopo 35 anni sotto l’impronta del critico cinematografico Luigi Rondi – della giornalista Piera Detassis, esperta di cinema e fondatrice della rivista Ciak.

Come presidente e Direttore Artistico dei Premi David di Donatello, la neo presidente ha inaugurato una politica di rinnovamento cominciando col definire l’edizione 2019 dei David “edizione del cambiamento”.

La Detassis Insieme al consiglio direttivo dell’Accademia del Cinema Italiano, ha infatti deciso di apportare dei cambiamenti ad  alcune regole del premio.

Cambia la giuria: azzerata la giuria precedente (2148 membri) ne è stata creata una nuova “candidati e vincitori” delle passate edizioni (incidente sulla votazione per l’80%) e una ex novo, composta dai rappresentanti di una specifica lista (Cultura e Società che incide per il restante 20%), ovvero esponenti di chiara fama o di riconosciuta competenza della cultura, del cinema e dell’audiovisivo in tutti i suoi ambiti, proposti dalla Presidenza dei David e dal Consiglio Direttivo. Esiste poi una terza giuria formata dai componenti dell’Assemblea dei Soci, del Consiglio Direttivo dell’Accademia per un totale di 1554 membri. La giuria formata da personalità della cultura e dell’audiovisivo ha dato esito a pareri discordanti; la già citata inchiesta de l’Espresso rivela che dietro alcune nomination non ci sarebbero solo frequentatori assidui dei set ma anche “uomini di stato e imprenditori come Giovanni Russo, grande albergatore di Sorrento. In uomini di Stato come Goffredo Mencagli, generale dei Carabinieri in pensione, o Vico Vicenzi, ex direttore degli affari generali del Senato.”

Secondo registi come Paolo Genovese (sceneggiatore e regista di “Perfetti sconosciuti”vincitore come miglior film nel 2016) “l’ampiezza della giuria è un punto di forza, una garanzia di imparzialità”, secondo altri come Francesco Munzi (vincitore nel 2015 con “Anime nere”) una riforma della giuria era invece necessaria.

Cambiano le regole di ammissione: novità formalizzata pienamente in questa edizione 2020, possono concorrere film la cui tenitura è ridotta a 3 giorni in caso di film programmati nelle sale cinematografiche con carattere di evento, in giorni diversi dal venerdì, sabato e domenica. (lo scorso anno potevano concorrere lungometraggi che erano usciti in sala in almeno 5 città cosiddette “capo-zona” del mercato cinematografico italiano con una tenitura minima di 7 giorni). Entrano così a pieno titolo in gara anche i film Netflix che sono usciti prima in sala e poi sulla piattaforma. Un film come Sulla mia pelle – uscito in contemporanea al cinema e sulla piattaforma streaming – secondo le regole del vecchio ordinamento (precedente al  2019) non sarebbe stato preso in considerazione, mentre invece è stato premiato proprio la scorsa edizione nelle categorie Miglior Attore protagonista, Alessandro Borghi, e Regista esordiente, Alessio Cremonini.

 

cambia il “meccanismo di voto” ogni giurato può esprimere 3 voti per ogni categoria, invece che 1 soltanto come avveniva in precedenza.

introdotto un nuovo premio: David dello spettatore Introdotto nell’edizione 2019 per premiare il lungometraggio più visto nelle sale cinematografiche italiane. Caso vuole che i primi vincitori di tale riconoscimento siano stati proprio Gabriele Muccino con “A casa tutti bene” nella scorsa edizione e Ficarra e Picone con il loro sesto film “Il primo natale”, uscito nelle sale il 12 dicembre 2019. Convinti di essere ostracizzati per il successo commerciale delle loro pellicole sono stati invece premiati da un regolamento “svecchiato e attualizzato”, da un festival considerato per anni di nicchia ed elitario che ora sembra in cerca di nuove strade per avvicinarsi ai nuovi (?) gusti degli spettatori paganti. Da detrattori a vincitori dunque.

L’edizione 2020 sarà campo fertile per vecchi e nuovi alterchi? Ci saranno sicuramente importanti ricorrenze da celebrare; 100 anni dalla nascita di Alberto Sordi, Federico Fellini e il centesimo compleanno (il 31 luglio) dell’attrice e sceneggiatrice Franca Valeri. Una modalità di mise en scéne nuova ed eccezionale che forse corre il rischio di risultare asettica, distante. I David di Donatello supereranno la sfida riuscendo a liberarsi dal pregiudizio di lunga data di essere una cerimonia per pochi e da pochi percepita come tale, di essere oramai obsoleta per la tv di stampo generalista?

Nel frattempo nei giorni che precedono la messa in onda sorgono polemiche nuove ma che non sono certo una novità. La candidatura del giovane regista esordiente di origini bengalese Phaim Bhuyan per l’autobiografico “Bangla” – prodotto da Fandango e in programmazione sulla piattaforma TimVision – accende i riflettori sulle minoranze etniche che in Italia sembrano cinematograficamente poco considerate. Inoltre, non ci sono registe donne né tra le esordienti né nella categoria classica della regia. Vuoto leggermente colmato da qualche co-sceneggiatrice (Vanessa Picciarelli per “Bangla”, Francesca Manieri per “Il primo re”, Ludovica Rampoldi e Valia Santella per “Il Traditore” e Silvia Ranfagni per la “Dea fortuna”); anche in commissione le giurate raggiungono solo quota 500, nonostante la promessa di Piera Detassis di impegnarsi per aumentare la presenza femminile al festival.

Non ci resta che attendere la serata dei David di Donatello 2020, augurandoci che possa rappresentare davvero una festa per il cinema italiano e che diventi un’occasione di riflessione sul destino e lo stato attuale del nostro cinema.

Rubina Dagnino

Sitografia:

cit. da Francesa Sironi, Cinema, perché il David è da ripensare, inchiesta de L’Espresso, 20/03/2018.

 

 

 

 

 

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