Il “Nome della Rosa” tra cinema e teatro

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La rappresentazione teatrale in prosa de “Il Nome della Rosa”, la cui regia è di Leo Muscato, non può che sorprendere il pubblico per la sua impressionante somiglianza non solo nei confronti del libro da cui è tratta, ma anche in relazione all’omonimo film di Jean-Jacques Annaud.
Se gli elementi di maggiore fedeltà rivolti al modello del libro riguardano la narrazione, i dialoghi e i monologhi dei personaggi presenti sulla scena, le analogie più evidenti relative al film risiedono proprio nell’ambito del visivo.

La scenografia è sicuramente ciò che colpisce di più anche lo spettatore meno attento: l’atmosfera cupa e fredda dell’abbazia francese rappresentata nell’opera teatrale, aderisce con sorprendente vicinanza rispetto al modello fornito dal film. Questa scenografia lugubre e a tinte fosche ospita poi l’azione dei personaggi. L’ormai anziano Adso da Melk racconta gli avvenimenti di quei giorni con abile maestria, e al contrario del film, in cui quello del narratore è un ruolo di minore rilievo, qui ha una funzione di maggiore importanza.

Un altro esempio può essere rintracciato nella figura del monaco Salvatore, il cui aspetto fisico sproporzionato e deforme è riprodotto in un’ottica di ricercata somiglianza in relazione al modello fornito dal libro e interpretato dal film.
Anche molti altri soggetti sono particolarmente fedeli alle figure esibite da Annaud. Basti pensare a Frate Guglielmo da Baskerville, il protagonista, o a Jorge, vecchio monaco affetto da cecità, e antagonista del progresso, o ancora a Bernardo Gui, feroce inquisitore e nemico giurato di Guglielmo, e a tanti altri personaggi.

Inoltre lo spettacolo rientra indubbiamente in quel tipo di teatro definito “d’azione”, ed è inevitabilmente influenzato dalla versione cinematografica dell’opera. Nel teatro d’azione il pubblico non solo assiste ai discorsi e ai pensieri che circondano un’azione raccontata, tipico del teatro greco di età classica, ma è anche reso spettatore anche dell’azione stessa, che non viene più solo narrata o riportata dalle figure stanti sul palco come accadeva nel teatro di età classica, ma è proprio rappresentata. Questa concezione del teatro si manifesta allora in svariati elementi presenti sulla scena, tra cui in particolare i cadaveri, ma anche l’orcio colmo di sangue in cui viene rinvenuto morto il traduttore Venanzio da Salvemec, o la vasca in cui è immerso il corpo esanime di Berengario.

Tuttavia non sono solo gli oggetti di scena a segnare il teatro d’azione, ma anche e soprattutto le scene, come gli inseguimenti, l’unione amorosa tra Adso e la popolana, l’interrogatorio e la tortura degli eretici, la loro esecuzione sul rogo, la morte di Jorge, o ancora l’incendio dell’abbazia. Contrassegnato da tali caratteristiche, il teatro cosiddetto “d’azione” è profondamente legato a una tradizione del dramma nata con le tragedie Shakespeare. Dunque, è il teatro d’azione ciò che ha fornito il materiale necessario alla rappresentazione cinematografica: difatti nel cinema il gesto, l’azione, il movimento – e perciò l’immagine – prevalgono nettamente sulla parola.

Appurato questo, sorge spontaneo chiedersi se, in questo caso, sia stato veramente il film di Annaud a influenzare lo spettacolo di Muscato, o la rappresentazione teatrale sia strutturata e realizzata in modo da seguire la tradizione del teatro d’azione, indipendentemente dal modello del film. Probabilmente il dramma de “Il Nome della Rosa” ha seguito la lezione della tradizione del teatro d’azione, ma, per metterla in pratica, ha sfruttato la possibilità di fare affidamento sul modello visivo fornito dal film per quanto riguarda i personaggi, gli oggetti, e i vari elementi scenici.

Davide Imbesi

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