Recensione di SILENCE

Martedì 1 agosto ore 21:30 Arena Daturi

SILENCE

di Martin Scorsese con Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, 3h 01’, USA-TW-MEX-ITA-UK-J

Silence appartiene a quel filone scorsesiano di film religiosi, come L’ultima tentazione di Cristo del 1988, Kundun del 1997, e parzialmente anche Al di là della vita del 1999. Indipendentemente dal tema, non è un film che parla a tutti e scriverne è tutt’altro che semplice.

Dato per scontato che ci troviamo di fronte a un’opera di indiscusso valore, la storia degli ultimi due padri gesuiti portoghesi che vanno in Giappone a cercare il loro vecchio mentore padre Ferreira, sospettato di aver rinnegato la fede cristiana e di essersi convertito al buddismo e integrato con la società giapponese, prova a coinvolgere lo spettatore per quasi tre ore e non sempre ci riesce efficacemente.

Tratto dal libro omonimo dello scrittore giapponese Shusaku Endo, Silence parte bene, con il racconto delle persecuzioni e delle torture dei religiosi, poi la narrazione si immerge nel raccontare la storia dei due preti, ingabbiati e nascosti anche quando sono liberi, del loro incontro con i fedeli, della religione praticata di notte, dei simboli religiosi microscopici.

Il racconto delle persecuzioni si svolge appunto nel silenzio assordante di Dio. È un film sul tormento dell’anima più che del corpo e infatti Andrew Garfield, che interpreta il ruolo più complesso, quello di Sebastião Rodrigues, il prete con più dubbi, quello che consiglia ai fedeli di abiurare piuttosto che farsi ammazzare, non viene torturato, sono gli altri ad essere torturati a causa sua.

E’ film dove abbonda, di pari passo con il cristianesimo, il senso di colpa, ma  il protagonista Andrew Garfield sembra un attore povero di mezzi per una caratterizzazione di questo tipo, il tema non appassiona e la visione con coinvolge del tutto. Ad esempio, anche la tensione che si crea aspettando l’ingresso di padre Ferreira, raccontato come una figura mitologica, è vanificata da un personaggio interpretato da Liam Neeson che decisamente sprigionava più carisma e sintomatico mistero nei panni di Qui-Gon Jinn, il mentore di Obi-Wan Kenobi ne La minaccia fantasma (che ci conferma il debito dei film di George Lucas nei confronti del cinema giapponese).
Il segaligno Adam Driver alle prese con il più rigido padre Francisco Garupe sembra invece a suo agio, ma in generale la prova migliore è quella degli attori giapponesi sia quando interpretano i fedeli perseguitati che quando interpretano gli aguzzini dell’Inquisizione.

Mi aspettavo un film faticoso ma mi aspettavo anche un film più intrigante, più memorabile. Alla fine il film che Scorsese ha voluto fare per trent’anni è un film da rispettare e ammirare, ma l’amore no, quello non lo ispira. Scorsese è un padre del cinema contemporaneo per i suoi film terreni, per il percorso cristologico di Jake LaMotta piuttosto che per quello di padre Rodriguez.
Barbara Belzini

Courtesy of Piacenzasera.it

 

 

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