Recensione di MOONLIGHT

Martedì 11 luglio ore 21.45 Arena Daturi

MOONLIGHT

di Barry Jankins con Trevante Rhodes, André Holland, 1h 41’, USA, 2016

Moonlight, vincitore dell’Oscar come Miglior Film, è tratto dall’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue (Alla luce della luna i ragazzi neri sembrano blu, che è anche una delle battute del film), che gli ha portato anche l’Oscar come Miglior Sceneggiatura non originale, insieme a quella per il Miglior Attore Non protagonista per Mahershala Alì, già noto per le serie TV House of Cards e Luke Cage.

Una serie di piccoli primati, quelli di Moonlight, tra Alì che è il primo musulmano a vincere un Oscar, alla vittoria sul super strafavorito LaLaLand (con incidente e sbeffeggiamenti conseguenti), all’ennesima scommessa vinta dal produttore Brad Pitt, già noto per aver prodotto altri famosi film “all black” come 12 anni schiavo di Steve McQueen (premiato come Miglior Film nel 2014) e Selma – La strada per la libertà di Ava DuVernay(nominato come Miglior Film nel 2015), senza dimenticare che si tratta del primo film LGBT (la sigla sta per lesbian-gay-bisexual or transgender related films) con un cast all black a vincere l’Oscar.

Partito dal Telluride Film Festival nel settembre 2016, Moonlight si è fatto conoscere passando nel giro di un paio di mesi per il Toronto International Film Festival, il New York Film Festival e il British Film Institute London Film Festival per poi arrivare come film d’apertura alla Festa del Cinema di Roma.

Un discreto giro promozionale, che ha portato a un crescente riconoscimento del film e a una serie di premi, il più significativo dei quali, prima dell’Oscar, è stato il Golden Globe come Miglior Film nella categoria Drama.

Con questo curriculum, Moonlight si presenta quindi molto bene ed in realtà è un film ben scritto, ben girato, ben fotografato: la sua provenienza teatrale è evidente nello stare sempre molto addosso agli attori, nei dialoghi, e nelle pochissime cose che accadono. Perché Moonlight è un film molto semplice, un racconto di corpi in cambiamento, da quello del protagonista Chiron attraverso i 3 atti della struttura, che lo ritraggono da bambino ad adulto, a quello della madre in disfacimento, a quello degli altri (pochi) protagonisti che intorno a Chiron ruotano.

Ambientato a Miami, dove sono nati sia lo scrittore del dramma Tarell Alvin McCraney che il regista Barry Jenkins, il film narra l’incontro di Chiron con lo spacciatore cubano Juan, che insieme alla sua ragazza Teresa andranno a sostituire sia un padre totalmente assente che una madre inadeguata ad occuparsi del piccolo.

Juan insegna al bambino a nuotare, quasi fosse un battesimo, una rinascita, in una dimensione, quella del mare, che tornerà a segnare i momenti maggiormente significativi della vita di Chiron, il ragazzino fatto di lacrime. E qui il film comincia a farsi interessante, perché pur essendo uno spacciatore Juan dice tutte le cose giuste, fa tutte le cose giuste e ogni scena in cui è presente tutto urla rispetto.

Per il bambino, per il suo essere gay se lo vuole, per i suoi sentimenti nei confronti della madre, per ogni scelta che è tenuto a fare. E si comincia a capire l’Oscar come Miglior Film e si comincia a capire ancora meglio l’Oscar come Miglior Attore non protagonista.

Moonlight è un film sull’intero spettro dei sentimenti, che non fa mai quello che ti aspetti che faccia. È un film semplice ma affatto scontato, che racconta poco come il suo protagonista e con un gran bel finale. Anche se dopo averlo visto un po’ me la spiego la faccia di Damien Chazelle quando ha capito di non aver vinto come Miglior Film.

Perché Moonlight è tante cose, ma non è un film che ti fa dire UAU. Mentre La La Land è un film che ti fa dire UAU. E pur essendo ben scritto e ben un sacco di cose, mi rimane il dubbio che ce ne siano diversi (o ce ne siano stati) in giro di prodotti non dico simili ma almeno analoghi, di valore assimilabile, che però non hanno avuto gli stessi vantaggi, le stesse possibilità.

Comunque è piaciuto anche alle signore che vanno al cinema il sabato pomeriggio, che hanno commentato, e a ragione, “È un film forte, ma non è mai volgare”.

Barbara Belzini

Courtesy of Piacenzasera.it

 

 

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