Recensione di L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA

Martedì 27 giugno ore 21:45 Arena Daturi

L’altro volto della speranza

di Aki Kauwrismäki con Sherwan Haj, Sakari Jyrki Kuosmanen, 1h 22’, FIN 2017

Il finlandese Aki Kaurismäki ha una propria cifra ben riconoscibile: dialoghi scarni, ambienti squallidi, facce indimenticabili, inquadrature fisse, luci basse. Qui, dopo “Miracolo a Le Havre” del 2011, dirige il secondo capitolo di una (non dichiarata) “trilogia dei porti”.
“L’altro volto della speranza”, Orso d’Argento al Festival di Berlino per il Miglior Regista, inizia al porto (luogo-simbolo) e stringe fino ad inquadrare una nave da trasporto e un uomo, che emerge nero dal carbone. Il film salta continuamente tra due storie, quella del richiedente asilo Khaled scappato dalla Siria e quella dell’ex venditore di camicie Wikström che scappa dalla sua vecchia vita.
In questo 2017 Kaurismäki (come Jim Jarmusch con “Paterson”) ha fatto la solita magia, regalandoci un cinema al quale non siamo più abituati, fatto di umanità, di poesia, di musica, tantissima in questo film, suonata per strada o nei locali o nel centro di accoglienza, dove gli uomini fumano la notte, gli occhi sbarrati nel buio, pensando a quello che hanno visto, lasciato, perso e dove Khaled prende un sitar e suona una struggente musica mediorientale, mentre in sala si piangono lacrime. Di gioia. Per la bellezza e il sentimento di questo piccolo film surreale che si muove tra umorismo e disperazione con una grazia da far male.
“I always decide to put a sad ending but then I feel pity for my characters and put at the last moment a happy ending” (Parto sempre con l’idea di un finale triste, poi all’improvviso i miei personaggi mi fanno compassione e all’ultimo momento inserisco un finale lieto).
Lode a Aki Kaurismäki.

Barbara Belzini
Courtesy of Editoriale Libertà

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